PER SEPARARSI NE BASTA UNO

Il titolo di questo capitolo è una triste verità che mi capita spesso di ripetere ai miei pazienti.

Nel primo episodio dedicato alle coppie litigiose abbiamo visto i concetti di escalation e interazione simmetrica, oggi ci concentriamo sull’altra faccia della luna, la complementarietà.

Uno tradisce, l’altro no. 

Uno impazzisce per la crisi di mezza età, l’altro rimane stabile. 

Uno provoca in tutti i modi, l’altro sopporta e basta. 

Uno decide di separarsi, l’altro non vorrebbe.

Uno conduce, l’altro segue a ruota.

In breve, uno è il polo forte della coppia, l’altro quello debole.

La complementarietà spesso è un fattore di stabilità: molte coppia funzionano in questo modo, rimangono stabili nel tempo, magari per tutta la vita, anche se ad osservarle dall’esterno, possono apparire sbilanciate, troppo sbilanciate.

Ascoltando il polo down, quello debole, ci può cogliere lo sconforto.

Una sensazione scoraggiante, che spinge a chiedere:

Ma cosa deve fare l’altro, ancora di più per far sì che tu lo lasci?

Te ne ha fatte di tutti i colori e tu sei ancora lì, così legata a lui che non vuoi lasciarlo?

Sembra che il polo down, dipendente, neghi anche l’evidenza.

I comportamenti subiti arrivano a ledere la dignità minima della persona, eppure il “non averlo per sé” sembra il più terribile dei mali, quando tutto il mondo – dalle amiche, ai parenti, ai professionisti interpellati – dice “dacci un taglio”.

Alcuni descrivono queste relazioni come dipendenza emotiva, che spesso vede in relazione un soggetto dalle tendenze narcisistiche e un soggetto passivo che vive come satellite della personalità dominante. Un termine molto in voga oggi è anche Amore tossico.

Laing (1969) nel suo libro Nodi descrive perfettamente, con una sintesi acuta, il punto centrale della dipendenza emotiva:

Non mi rispetto

non posso rispettare uno che mi rispetti.

Posso solo rispettare qualcuno che non mi rispetti.

Sostituendo la parola “rispetto” con “amore” il risultato appare ancora più inquietante, ma forse rende ancora più completo il significato profondo dello stallo di alcune coppie che vorrebbero (o dovrebbero) separarsi ma non lo fanno, perché non ci riescono.

Come posso essere rispettato, se sono io il primo a non rispettare me stesso?

Se gli altri non mi rispettano, trovo una conferma della mia inadeguatezza, ma li stimo, perché hanno capito veramente chi sono.

Se invece uno vuole aiutarmi e mi rispetta, prima o poi mi lascerà, perché si accorgerà che non valgo niente. 

Se trovo qualcuno che mi accetta, mi guida, magari squalificandomi ogni giorno, perché sono un buono a nulla, ecco che ho trovato il mio migliore equilibrio possibile. Perché non sono da sola e perché ho qualcuno che finalmente ha capito chi sono.

Credo sia questo l’atomo emotivo che spiega – non giustifica, ma spiega – il tipo di relazione malsana che talvolta si nasconde nelle posizioni complementari.

È chiaro che la terapia di chi soffre in questo tipo di relazione è piuttosto complessa. Mantenere la complementarietà, quindi stare nella relazione è ciò che fa peggiorare il problema nel tempo. Fino ad annullare se stessi in funzione dell’altro.

La soluzione – darci un taglio – è esattamente ciò che la persona dipendente non vuole.

La razionalità – come abbiamo visto – non ha molti mezzi. 

La famiglia, gli amici l’hanno già detto migliaia di volte, ma non ha funzionato.

Quindi?

Passiamo in rassegna gli scenari futuri.

Come ti vedi con lui tra cinque anni? Tra dieci? Che esempio dareste a dei figli? 

Il peggio possibile. Anzi probabile. 

Se l’esplorazione di questi scenari non spaventa abbastanza da generare un cambiamento vero non solo di prospettiva, ma di sistema – lo lascio – significa che la persona ha scelto, in modo più consapevole, di stare nella relazione, anche a costo di sacrificare quel poco di felicità che le spetta. 

Allora è vero per lei che “meglio questo piuttosto che niente”. 

Diversamente lo scenario catastrofico – ma perfettamente logico – dello stare insieme a tutti i costi diventa la paura più grande rispetto alla paura più piccola da cui siamo partiti – la paura di perderlo.

Di solito le paure più grandi vincono su quelle più piccole. 

E magicamente si trova “la molla”, cioè l’occasione per ribellarsi e volersi un poco più di bene.

Andarsene sul serio. Senza voltarsi indietro. 

Ecco allora che il titolo della puntata non è più triste, anzi diventa una specie di legge a salvaguardia del rispetto, all’interno della coppia. Per separarsi ne basta uno.