(NON) E' LA GELOSIA

Cos’è la gelosia? E soprattutto, quando diventa patologica, cioè degna di attenzione clinica da parte di uno psicoterapeuta?

Facciamo degli esempi.

Vedo una bella donna. Mi rivolge la parola e il mio corpo comunica a livello non verbale l’attrazione che sento.

Sorrido, mi avvicino, magari la sfioro delicatamente, senza perdere il contatto oculare. Se parlo la voce si fa improvvisamente calda, melliflua. Mia moglie mi tira un pizzicotto: «Ehi. Basta fare il marpione. Avevi gli occhi da pesce lesso. Lascia stare». 

Questa è gelosia, certo. Ma è normale, anzi sana. Il partner ci conosce. Sa cosa ci piace. Lo vede quando ci piace qualcuno o qualcosa. E ti dà un segnale chiaro: «Non fare lo stupido. Io non lo accetto. Se hai intenzione di tradirmi, vedrai cosa succede».

Si tratta di un segnale di positiva attenzione del partner. Perché se non gliene fregasse più niente, certamente non si prenderebbe il disturbo di tirarti le orecchie. Ti lascerebbe fare, e magari ti ripagherebbe con la stessa moneta.

Fin qui tutto bene. Un pizzico di gelosia fa bene.

Prendiamo invece un caso tipico delle separazioni giudiziali che mi capita di seguire.

Leggo gli atti e trovo pagine e pagine di schermate whatsapp che provano la relazione extraconiugale. Magari anche le foto, perché la tecnologia va sempre oltre l’immaginazione. Prove schiaccianti di un tradimento.

Il colpevole non nega, anzi dichiara che non si trattava solo di un flirt, ma che ora quella è diventata la sua compagna. La moglie tradita ha controllato telefono, mail, social e attribuisce tutte le colpe della separazione all’altro. È tutta colpa sua. Magari lo sbandiera a tutti, anche ai figli. 

Se chiedo «come andavano le cose prima del tradimento?», entrambi rispondono «Ah! Guardi…il solito tran tran oppure vivevamo come fratello e sorella oppure non ce n’era più, da un pezzo».

In casi del genere, il controllo delle relazioni del partner non è proprio gelosia o non è solo gelosia. Pare quasi una exit strategy, una strategia d’uscita da situazioni logore. 

La domanda è in fondo: sei andata a controllare perché ti importa ancora del partner oppure per avere le prove  che lui è un puntini puntini?

A volte dare una risposta chiara è difficile. 

Questo esempio ci permette di sottolineare come un tratto tipico della gelosia sia il controllo del partner e la percezione base che lo guida sia il sospetto. 

Mi tradisce?

Mi ha tradito in passato?

Magari no, ma se ne avesse l’occasione?

Potrebbe cadere in tentazione?

Se queste domande si affollano nella mente e uno finisce col rimuginarci sopra tutto il giorno è probabile che poi passi all’azione. 

Prima a chiedere costanti rassicurazioni: Ma mi ami? Ma hai un’altra? Ma chi è quella lì?!

Poi magari a controllare di nascosto il telefono, con tutto quello che contiene.

Ma non trova niente di definitivo e inequivocabile. Qualche messaggio con la collega. Niente di che. Però è arrivato alle undici di sera. Magari c’è un’emoticon di troppo. Quelli con il bacino. E il sospetto cresce. Con il sospetto cresce il controllo. E le richieste di rassicurazione. 

Perché non mi fido più. 

È il meccanismo tipico di chi cerca trova. E se hai in mano il telefono, tutto può diventare un indizio di tradimento. 

In questo caso la gelosia che nasce da domande innocenti, che magari hanno un’intenzione buona – capire se mi ama ancora – diventa qualcosa di simile ad un disturbo ossessivo, legato al controllo maniacale del partner.

Che magari spiega analiticamente il perché e il percome, rassicura, lascia che il partner controlli, perché non ha niente da nascondere. 

Ecco, quando arriviamo a questo punto scatta l’allarme rosso della gelosia.

Perché questo tipo di interazione distrugge la coppia in quanto diventa una sorta di profezia che si autoavvera. 

Il sospetto diventa una certezza, anche se non si hanno prove schiaccianti.

Il controllo ossessivo comunica la propria sfiducia nel partner, producendo alla lunga proprio l’effetto indesiderato, cioè che questo si allontani e se ne trovi un’altra. 

Anche se magari inizialmente non ne aveva la minima intenzione. 

Tipicamente, in questi casi, arriva in terapia quello che “non ce la fa più” ad essere controllato, accusato e vessato dal partner geloso. 

Non può intrattenere alcun tipo di relazione con persone di sesso opposto perché sennò il partner rende la vita un inferno.

Materialmente non potrebbe, nemmeno se volesse, tradire, perché il partner è diventato una specie di mastino alla Sherlock Holmes. 

La richiesta di presa in carico è: la faccia smettere, non ne posso più di vivere così.

Non è facile intervenire, quando il problema è così strutturato. La terapia breve strategica offre due strategie di intervento.

Una è la paura del controllo e mira a scardinare la logica della profezia “chi cerca trova”. Ogni volta che controlli lo stai spingendo lontano da te. Perché il tuo interesse positivo per l’altro viene affossato dalla comunicazione più sotterranea ma potente del “non mi fido di te”. Continuando così non farai altro che spingerlo letteralmente nelle braccia di qualcun altra che non è così insicura. Non ti chiedo di non farlo, ma di pensare che ogni volta che lo fai contribuisci a peggiorare la situazione e a realizzare la tua paura di essere tradita.

Nei casi più gravi però non è sufficiente, cioè non basta per arginare le azioni di controllo.

Così di prescrive alla coppia la ricerca di conferma contraddittoria. In breve, si chiede di continuare a controllare, ma con alcune modifiche. Anche il “traditore” può controllare il telefono del partner ed entrambi devono cercare e catalogare ogni minimo segnale di possibile tradimento, dando un voto da 1 a 10 ad ogni indizio trovato. Se proprio devono parlare di tradimenti e giustificazioni lo facciano su basi concrete. 

Si ricalca cioè la struttura del problema – il cercare – ma con due importanti varianti: prima cosa lo fanno entrambi e la seconda, ben più importante, è la valutazione, di entrambi.

Perché chi giudica può anche essere giudicato, anzi deve essere giudicato da chi subisce il giudizio.

In fondo, tutto ruota sulle prove. Ma se non ce ne sono… dobbiamo proprio andarcele a cercare quando non c’è niente? No, sembra logico. Ma è proprio questo che il geloso patologico deve essere guidato ad accettare.