IL FIGLIO CHE SALVA IL MATRIMONIO

Le tappe più significative di una coppia sono quelle in cui vengono prese decisioni importanti, DECISIONI che cambiano concretamente la cornice di vita: convivenza, matrimonio e soprattutto la decisione di avere figli.

Si tratta di una specie di climax, che richiede livelli sempre crescenti di responsabilità e consapevolezza. 

Da una convivenza posso facilmente uscire – riprendo le mie cose, ti restituisco quello che ti devo e torno a casa. Da un matrimonio posso fare lo stesso con qualche incombenza legale in più. Ma con un figlio?

Il momento in cui da 2 si diventa 3 è quello più importante, direi «decisivo» della vita di coppia. 

Se va tutto bene, vi amate, state bene insieme, condividete una visione del mondo e avete una routine quotidiana soddisfacente può succedere che desideriate di avere un figlio.

Ma se uno lo vuole e l’altro no? Oppure uno pensa che sia il momento giusto e l’altro dice «aspettiamo» e continua a rimandare? 

Non si può arrivare ad un compromesso. Non esiste una via di mezzo. Non si può fare «mezzo figlio». Fare o non fare, come diceva il buon Yoda di Star Wars. Uno dei due deve retrocedere dalle proprie posizioni. E qui nascono i problemi.

Dal mio punto di vista, in un caso del genere l’unica cosa che lo psicologo può fare è aiutare la comunicazione tra le parti. Far emergere i bisogni sottostanti alle posizioni. Quindi non il perché uno vuole o non vuole il figlio – che se lo sono già detto mille volte – ma quale bisogno sentono, nel concreto, quale bisogno guida la loro richiesta di avere un figlio. Non c’è nulla da curare, nulla di sbagliato. Per questa ragione, non si tratta di una psicoterapia, ma di qualcosa molto simile ad una mediazione. Infatti una buona mediazione, secondo il modello di Harvard di Fisher, Ury e Patton, ha come obiettivo l’accordo. Quale accordo? Ogni accordo è un buon accordo se parte dai bisogni e non dalle posizioni. Cioè se capiamo non il perché della richiesta, ma quale bisogno soddisfa quella richiesta.

Nei casi di separazioni giudiziali che seguo come consulente del Giudice, capita ascoltare delle narrazioni per cui i due dichiarano di aver scelto concordemente di avere un figlio, ma – si può dire – per i bisogni sbagliati.

Mi permetto di usare questo aggettivo «sbagliate» per bisogni come: 

«L’orologio biologico, sa? Eravamo già vecchi… cosa c’era da aspettare ancora…?»

«I nostri genitori continuavano ad assillarci. Quando vi sposate? Quando ci date il nipotino?»

e, ultimo ma non ultimo,

«Eravamo in crisi. Ad un bivio. O facevamo un figlio o ci lasciavamo.

Di tutte le spiegazioni date a posteriori, il figlio per salvare il matrimonio, il figlio scaccia-crisi mi sembra la peggiore. Eppure accade. E non così di rado. 

La fantasia salvifica della nascita è trasversale alla letteratura, al cinema, alla religione, quindi piuttosto comune.

In psicologia Bion la descrive tra gli assunti di base, cioè una delle tre dinamiche tipiche dei gruppi, come l’attesa dell’eletto, del prescelto che salverà le sorti di tutti. Un fattore di coesione interna quindi, del gruppo come della coppia, che, declinato nella realtà quotidiana spesso è un disastro.

Oltre al figlio immaginato e fantasticato, c’è il figlio reale, con le continue richieste di cura e attenzione. Effettivamente questo può «spostare l’attenzione» di una coppia dal conflitto interno al figlio, producendo un momentaneo miglioramento. Siamo concentrati su di lui. Ma quanto dura? E soprattutto, alla prima difficoltà o differenza di vedute, la crisi può ricominciare, ancora più buia, ancora più profonda. Solo che adesso siete in 3. 

Tutte le situazioni qui tratteggiate – che sono forse archetipiche, ma non pretendono di esaurire tutto l’argomento – hanno un minimo comune denominatore.

Cioè decidere qualcosa perché lo desidera qualcun altro, perché qualcun altro dice che è ora, che è giusto e che, se farai così, andrà tutto bene. Il bisogno di adeguarsi, di compiacere.

Quel che voglio dire qui è che nelle decisioni importanti della coppia, decidere qualcosa per bisogni esterni è generalmente una soluzione fallimentare. 

Se hai il dubbio che tu stia facendo qualcosa solo per compiacere l’altro o gli altri, aspetta. Riflettici, stai fermo. 

Pensa al figlio che potresti fare. Al peso che avrà sulle spalle fin dalla nascita. Alle aspettative che riponi su di lui. 

La fantasia che il figlio risolva la situazione. Proprio come il salvatore… un po’ pesante, non credi?

Quando mi si presentano coppie bloccate davanti ad una decisione importante, uso una tecnica messa a punto da Giorgio Nardone e Paul Watzlawick, il come peggiorare.

Si tratta di una tecnica di cui ho abusato in prima persona, per ogni genere di situazione in cui ero in difficoltà a scegliere e francamente non sapevo che pesci pigliare. Per fortuna non ha effetti collaterali, anzi, solo benefici.

La tecnica consiste in questa domanda.

Vorrei che ogni giorno ti chiedessi: come potrei non migliorare, ma peggiorare la situazione. Cioè: se fossi colto da un raptus di follia, come potrei far peggiorare ancora di più la situazione? Cosa dovrei fare o non fare, pensare o non pensare per peggiorare? Non migliorare, ma peggiorare. 

La logica paradossale della domanda segue un antico adagio: per raddrizzare una barra storta devo prima trovare tutti i modi per storcerla ancora di più. 

Ovviamente evita di mettere in pratica le risposte che ti darai. La domanda è teorica, la risposta deve essere altrettanto teorica. 

Quindi, come posso far peggiorare ulteriormente la mia crisi di coppia? Facendo un figlio con la speranza che questo risolva tutto. Facendo un figlio perché lo vogliono il mio compagno, la mia famiglia e gli altri. Facendo un figlio solo per compiacerli.

Ora che sai con certezza come fallire, sei libero di scegliere quello che senti giusto per te.